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    Roma, 23-10-2014

    TEMPI.it Intervista di Matteo Rigamonti al Presidente FederPetroli Italia – Marsiglia sulla situazione del Decreto Sblocca Italia

    Petrolio nell’Adriatico. Lo Decreto Sblocca Italia non basta, serve una vera politica energetica per rilanciare la crescita.
    di Matteo Rigamonti – TEMPI.it
    A che giova accelerare le pratiche sul gasdotto Tap e quelle per estrarre idrocarburi dai mari italiani, se poi si lascia che le raffinerie chiudano senza che nessuno batta ciglio? Intervista al presidente di FederPetroli Italia Michele Marsiglia

    Vega non è solo il nome di una stella, ma anche quello del più ricco bacino petrolifero del Mediterraneo in Italia. Situato nel bel mezzo del Canale di Sicilia, secondo l’Espresso, potrebbe contenere petrolio per riempire «tra i 200 e i 300 milioni di barili». Quasi «un quinto delle riserve italiane». Peccato soltanto che Edison, la società a controllo francese che insieme a Eni sfrutta Vega da quasi trent’anni, dopo che «a luglio 2012 ha chiesto al ministero dell’Ambiente il permesso di trivellare in un’altra zona del giacimento», ha dovuto attendere «27 mesi» per non ricevere ancora alcuna risposta. Un arco di tempo ragionevole o troppo lungo? E poi il decreto Sblocca Italia, che prevede il rilascio di un’unica concessione valida sia per ricercare sia per estrarre idrocarburi, contribuirà oppure no ad accorciare i tempi e semplificare le procedure? L’abbiamo chiesto a Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia.

    Marsiglia, fino a quando in Italia saremo costretti a dover attendere più di due anni prima di ottenere il permesso per trivellare un pozzo?
    Fino a che il decreto Sblocca Italia non sarà ultimato in tutti i suoi aspetti, noi operatori del settore saremo destinati a rimanere fermi in un limbo in cui nessuno è in grado di orientarsi. Ciò detto, l’avvento del titolo concessorio unico, contenuto nel decreto, porterà certamente a un’ottimizzazione dei tempi e dell’impiego di risorse economiche nella fase iniziale dei progetti per l’estrazione degli idrocarburi. Ma i tempi devono essere rispettati, altrimenti tutto questo impegno non serve a nulla. Senza contare, poi, che il problema è destinato a rimanere aperto.

    Perché?
    Perché lo Sblocca Italia concepisce il ruolo dello Stato come decisore unico, escludendo le amministrazioni pubbliche locali, quali Regioni, Province e Comuni, dal processo decisionale. Un fatto per nulla positivo; anzi, tutto ciò contribuirà a creare maggiori ostacoli nella fase istruttoria e nel progetto complessivo. Gli Enti locali e le comunità, infatti, dovrebbero essere parti integranti del progetto, eppure lo Sblocca Italia stabilisce il contrario. Soltanto che, così facendo, petrolio e gas sono destinati a rimanere argomenti “tabù”, dove la vera conoscenza è ancora appannaggio di pochi esperti. Mentre, in realtà, l’opinione pubblica dovrebbe essere resa partecipe fin da subito di cosa sono gli idrocarburi e quali sono i pro e i contro della loro estrazione; e ciò è possibile esclusivamente all’interno di un dialogo costruttivo e rispettoso. Oltretutto, è proprio così che si abbatte il muro dell’ostruzionismo.

    Lo Sblocca Italia, però, dovrebbe accelerare i tempi per il gasdotto Tap (Trans Adriatic Pipeline), che porterà il gas azero in Italia dalla Puglia. Quanto è importante per il nostro Paese?
    Il Tap è indubbiamente un’opera di rilevanza strategica per l’approvvigionamento energetico del nostro Paese e ha anche il merito di fare dell’Italia un punto di arrivo. Ma il Tap è importante se parte, altrimenti è meglio concentrarsi su altre opere. L’orizzonte da non perdere mai di vista, infatti, è sempre quello dell’approvvigionamento energetico complessivo del Paese. E in questo senso sono tantissimi i piccoli gasdotti e oleodotti, fermi per i più svariati motivi, ma che pure potrebbero portare il gas nelle case degli italiani.

    Sui media italiani si legge di diverse raffinerie che sono in procinto di essere riconvertite (Gela e Venezia), mentre alcune rischiano la chiusura (Livorno). Come mai?
    Non sono certo notizie da sottovalutare… La raffinazione, infatti, è la madre dell’indotto petrolifero ed è un’industria strategica per la politica energetica del Paese. Sia che si estragga greggio a terra o a mare, sia che lo si importi, infatti, esso deve essere poi raffinato. E se manca questo importante tassello del processo di trasformazione e distillazione, l’industria circostante non ha praticamente motivo di esistere. Ecco perché le raffinerie sono importanti e uno Stato senza raffinerie è uno Stato privo di politica energetica. È il motivo per cui FederPetroli Italia sta portando all’attenzione del Governo una ridefinizione delle Strategia energetica nazionale ed europea. Nei prossimi mesi, un dossier sarà focalizzato principalmente sulle raffinerie e i nodi portuali strategici del Paese come hub petrolifero mediterraneo. Altrimenti corriamo il rischio, paradossalmente, di finire per far partire le piattaforme offshore in Adriatico, restando, però, senza benzina e gasolio per le nostre automobili.

    L’Italia oggi produce da sé il 10 per cento del fabbisogno di gas e il 7 per cento di quello petrolifero, incassando poco più di 400 milioni di royalties. Quanto potrebbe giovare al Paese una svolta nella politica energetica?
    Quando parliamo di fabbisogno energetico, il riferimento è evidentemente a quanto riusciamo a soddisfare del consumo nazionale con risorse interne. Ma se vogliamo avere un quadro chiaro di cosa voglia dire ridisegnare la politica energetica, dobbiamo considerare insieme l’estrazione delle risorse, il trasporto, la logistica, la raffinazione e quindi il trasporto di secondo livello per portare i prodotti sulla rete carburanti ed altri usi. Tutta la filiera energetica, insomma. E dovremmo considerare anche tutte le forme di energia da sfruttare come le energie alternative, eolico, fotovoltaico, solare, e tante altre. Tutto ciò potrebbe portare a soddisfare, in un arco temporale di 10/15 anni, il 52 per cento del fabbisogno nazionale, con una riduzione del 35 per cento della bolletta energetica e un indotto occupazionale considerevole. Senza contare, poi, l’aumento di gettito per lo Stato che deriverebbe dal pagamento delle royalties e altre forme di tassazione. Il tutto si tradurrebbe in un apporto di ricchezza generata da investimenti con un trend esponenziale sulla diretta economia reale.

    Quella del petrolio nell’Adriatico è una “bolla” destinata a sgonfiarsi in pochi anni o ha ragione Prodi?
    Il rischio che si tratti di una bolla è reale, ma solo perché, come stiamo vedendo in questi tempi, tutti si improvvisano esperti petrolieri da corso accelerato. Bisogna far capire quali sono le potenzialità reali dei nostri giacimenti, senza sparare cifre a caso, report illusionistici, miliardi di barili, tonnellate equivalenti… e così via in una gara a chi la spara più grossa. Bisogna, piuttosto, parlare delle riserve che abbiamo. E anche sui posti di lavoro bisogna essere corretti: non si possono illudere le persone. Le considerazioni vanno fatte su reali situazioni aziendali che tutti possono riscontrare, come qualsiasi altro settore. L’idrocarburo, infatti, è una risorsa della terra, che si genera continuamente, basta solo saperlo sfruttare con una giusta regolazioni dei tempi, altrimenti si fa la fine che negli anni 20 fecero i pionieri dell’industria americana.

    Quale?
    Per avidità portarono i giacimenti ad un veloce esaurimento. Per questo FederPetroli Italia, con il programma Operazione trasparenza, sta cercando di spiegare alle scuole, le comunità locali, le università, i Comuni, e principalmente alla politica, cosa vuol dire estrarre petrolio e gas in Italia. Perché la casalinga che stira mentre guarda la televisione ha il diritto di sapere quale vantaggio o svantaggio potrà avere da una piattaforma petrolifera in più o in meno e se quel gasdotto si costruirà oppure no.

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